The Big Ear

Terra dal satellite

Oggi parliamo di un progetto particolare…un progetto sul suono ma senza suono, un progetto insieme acustico ed estetico, sull’ascolto e sull’immaginazione sonora – se così possiamo chiamarla – sui diversi tipi di orecchio: quello interno, quello esterno, quello interiore (che ricorda e che trasforma il ricordo) e perchè no quello esteriore, che preferisce un suono ad un altro…

The Big Ear: questo è il nome del progetto, ideato da Francesco Michi con la collaborazione di Stefano Maurri e di Massimo Liverani. Come descriverlo in breve? Immaginate un grande orecchio universale, che possa avere accesso a tutti i suoni prodotti simultaneamente in ogni punto del pianeta, e non solo a questi ma anche ai suoni della memoria, ai suoni modificati dal tempo e dalle associazioni di ognuno di suoni, ai suoni virtuali, ai suoni reali, sintetici, naturali, campionati…

Quale sarebbe il paesaggio sonoro di questo grande orecchio? Che aspetto (uditivo, naturalmente…avete notato come le parole siano manchevoli nel descrivere il processo del sentire?) avrebbe? Come sarebbe la sua giornata sonora?

Ecco, il punto di partenza è questo. Il passo successivo è nella rete, ovvero nel luogo virtuale di deposito dell’universo sonoro del grande orecchio.
Chiunque può partecipare, in maniera molto semplice, cliccando su To Participate: si aprirà  automaticamente la finestra nella quale potrete descrivere il vostro suono, il suono del grande orecchio nella vostra posizione e in quell’istante, rispetto al resto dell’universo…

Vi si chiede dunque di descrivere ciò che state sentendo in quel momento. Come dice Francesco Michi, si tratta di un progetto musicale e letterario insieme, un’opera corale nel vero senso della parola. Eh sì perchè poi il paesaggio sonoro collettivo descritto viene poi periodicamente ri-tradotto nella sua veste acustica, raggruppando assieme le descrizioni (e quindi i suoni) di momenti contigui della giornata, fino a ricostruire il flusso continuo (nel tempo e nello spazio) del mondo sonoro virtuale e reale del grande orecchio.

Gli spunti di riflessione sono tanti: quanto può essere fedele la traduzione dei suoni descritti? Quanto può essere diverso il paesaggio sonoro in tempi e luoghi a noi lontani? Mentre scrivo ascolto alcuni momenti della giornata sonora di Big Ear: rumori, suoni di città ,voci del quotidiano, ma anche molta musica. Qual è il confine tra l’intento estetico e quello naturalistico, tra la descrizione e la composizione, forse che chi descrive il suo suono per il grande orecchio non sta anche partecipando alla composizione di una grande partitura virtuale, di cui gli ideatori del progetto saranno poi gli interpreti?

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Sara Lenzi
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