Netmage 07 – parte II

Immagine di formica da Treccani

Venerdì 26 gennaio, ore 22 circa, la sala grande di Palazzo Re Enzo a Bologna è in effetti splendida. Soffitti altissimi, pareti affrescate, il quadrilatero formato da quattro schermi, a due a due accoppiati, la lunga consolle dove si sistemano le crew, e il lato più lungo, la parete della sala, affrescata, di cui sopra.

La prima mezz’ora tocca a H2O di Studio Brutus/Citrullo Int./Taxonomy (I), “composizione che interpreta il crossover audio-visivo, grazie a una esecuzione stratificata per passaggi progressivi” (dalla brochure): le immagini sono inequivocabilmente bellissime. Si tratta di una sfilata di organismi, all’apparenza marini, mostrati al microscopio elettronico, colorati meravigliosamente, su sfondo nero che più nero non si può, così da far risaltare ancor di più forme e colori. La descrizione si dilunga sui grafici/designer/videomaker che compongono il gruppo, ma questo non è il mio campo, quindi quanto ci sia di artificiale, quanto di “concreto” riguardo alle immagini, non sta a me dirlo. Il risultato, l’ho già  detto, è ottimo,però. Però di “flusso visivo” che “si sviluppa e si integra con l’esecuzione musicale producendo un insieme ibrido a tratti inedito” non v’è traccia. Dopo un crescendo iniziale che procede per accumulazione di materiale saturato (distorsioni, glitches, clicks) per la maggior parte già  noto, l’audio si assesta su un continuo di rumore in cui non si distinguono nè volumi, nè piani sonori nè men che meno piani spaziali. Di legame suono/immagine vi è davvero poco, e nessuna interazione con lo spazio cirscostante. Non sarebbe stato certo semplice, per le dimensioni della sala, e i lunghi tempi di riverberazione.
La costante saturazione dei livelli di intensità  non rende avvertibile o quasi alcun evento o cambiamento strutturale all’interno della mezz’ora. I placidi organismi al microscopio continuano la loro silenziosa produzione di uova e ragnatele in un mondo dal quale il suono sarebbe escluso: per fortuna non sono in balìa di abnormi e tutto sommato tradizionali saturazioni come i presenti in sala.

Monstrous Little Woman delle scandinave Sunland e Bang-Steinsvik ci trasporta nelle atmosfere da brivido de L’Esorcista, Poltergeist, Alien IV, viste con gli occhi delle donne che ne sono protagoniste. Le immagine sono alternate, loopate, rovesciate. L’audio riprende a tratti speech originali dei vari film (anch’essi loopati, alternati eccetera) più sottofondo sonoro (tratto dall’album Syklubb fra Haelvete, collaborazione tra il duo norvegese Fe-mail e Spunk). Niente male, l’idea è però che dato lo sterminato bacino di film horror con donne al seguito, e la quantità  pressochè infinita di dialoghi cinematografici, si poteva fare un po’ di più per riempire la canonica mezz’ora…

Siberian Fieldwors è la parte conclusiva della trilogia che lo spagnolo Carlos Casas ha girato sui luoghi di vita più estremi del pianeta. Le immagini (un’anteprima live per due schermi della suddetta opera) sono suggestive. Bella l’idea della compresenza a tratti dell’audio originale del documentario, e quello live dell’argentino Sebastian Escofert. Ancora, dato che il punto dovrebbe essere l’interazione audio/video, un po’ di soundesign in più ci stava, magari proprio giocando sulla compresenza di audio ambientale/audio “imposto” dall’esterno…

La serata procede, ma Charles Atlas e Chris Peck riprendono il concetto di noise/industrial, il volume sale e si ferma lassù sulle vette dello zero-db più saturazione-inclusa nel prezzo, le immagini scorrono e ancora una volta l’impressione è che di ricerca sul rapporto immagine/suono ci sia ben poco. Si può anche decidere che “non c’è nessun rapporto…”, ma almeno si porti questa decisione fino in fondo. In questo modo invece le immagini la fanno da padrone, il suono è poco più di un commento in giustappposizione, che va per la sua strada, fuori dal tempo (poche variazioni di intensità , niente piani sonori, lo spazio spettrale saturo e privo di qualsivoglia colore…un’indistinto muro sonoro) e ancor più dallo spazio: siamo a palazzo Re Enzo, ma potremmo essere ovunque, ci sono almeno sei canali (otto forse, non vedo bene) ma dalla radio di mio nonno con l’opportuna amplificazione verrebbe fuori la stessa cosa…insomma, siamo ancora la società  dell’immagine, dopotutto.

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Sara Lenzi
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4 COMMENTS

  1. Ciao! Si anch’io “prettamente d’accordo” …
    Ultimamente mi interesso sempre più di “videomaking” con strumenti digitali, e quando alcuni amici ieri mi hanno proposto di fare un salto a Netimage, mi sono detto: “ma guarda un pò! …. perfect! … così vedo di imparare qualcosa … e mi immergo in qualcosa di nuovo e professionale”. Insomma, uno si aspetta, per 12 euro, di poter toccare quello che si dice “lo stato dell’arte” almeno dalle parti del vecchio continente …
    Che magari si possa avvicinare a qualcosa di simile a questo: http://www.apple.com/it/pro/profiles/takagi/, http://www.apple.com/it/pro/profiles/wk/
    Mah! Magari non sono proprio in grado di capire del tutto, ma concedetemi: personalmente invece davvero poche emozioni (ad essere buoni). Sono sicuro si possa fare decisamente di meglio … soprattutto considerata la location (fantastica) e le installazioni tecniche dispiegate … Besos

  2. Bè, ho dato un’occhiata ai siti che consigliava Italo…come dire, siamo tagliati fuori definitivamente da queste parti, oppure c’è speranza?..e non credo dipenda dal Mac…

  3. ho avuto la stessa sensazione di Sara, ma da speranza il fatto che Somewhere… over the rainbow ci siano spunti per ampliare le prospettive

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